UN FILM CONTRO UN TABU’: “THE SESSIONS” DI BEN LEWIN
Questo film è basato sulla storia vera (accaduta nel 1988 a Berkeley, California) e sugli scritti di Mark O’Brien, giornalista e poeta poliomelitico costretto a passare la sua esistenza in un polmone d’acciaio. Dopo aver tentato degli approcci fallimentari con l’altro sesso, decide di rivolgersi ad una assistente sessuale per persone disabili, Cheryl Cohen Green.
Il rapporto fra O’Brien e Cheryl va a gonfie vele fino a quando non si intromettono i sentimenti a scombussolare il tutto, in particolare Cheryl rimane abbagliata e toccata dalla notevole sensibilità di Mark.
Il film è effettivamente recitato molto bene da un superbo John Hawkes, molto bravo a rendere la frustrazione, lo sforzo, lo sconcerto ed infine il coinvolgimento emotivo attraverso la voce sforzata, che O’Brien aveva. Merita un plauso Helen Hunt che ci fornisce un’interpretazione coinvolgente ed emozionante ed anche gli altri attori non sfigurano affatto.
Il regista è anch’egli un poliomelitico e da qui si capisce la dolcezza nel trattare certi argomenti e la perfetta calibrazione dei sentimenti; il lungometraggio è una produzione indipendente e rispecchia appieno le caratteristiche che contraddistinguono questo genere di film.
Unica sbavatura del film è una punta di buonismo nel finale, trascurabile però per il chiaro ed inequivocabile messaggio che lancia: anche le persone disabili hanno una loro sessualità ed, in alcuni paesi, esiste una legislazione che acconsente a questa loro necessità.
In Germania, Svizzera e Scandinavia (solo per parlare dell’Europa) esiste questa figura.
Urge una precisazione: c’ è una differenza fondamentale fra una/un prostituta/o ed una/un assistente sessuale e questa differenza è la formazione.
Gli assistenti sessuali intervengono con persone che soffrono di disagio psichico o con individui ai quali le loro disabilità fisiche precludono una vita sessuale normale e, per questo, devono essere preparati adeguatamente. Non solo in sessuologia ma soprattutto in psicologia dato che può essere molto arduo confrontarsi con certe disabilità. Si entra in contatto con persone tetraplegiche o persone con disabilità complesse, si entra in un campo dove si trovano individui che hanno provato il piacere sessuale ma anche con singoli che non lo hanno mai vissuto e che vi si avvicinano con desiderio ma anche molta paura; si insegna l’amore a persone disabili mentali e psichici (Down, autistici e altri) che sono sempre stati rifiutati anche nell’ambiente del sesso a pagamento.
É un lavoro part time che non occupa tutta la giornata e il costo di una seduta è di circa 80 euro. Non si rischia il contagio HIV perché non vi è un rapporto completo.
Qui in Italia, pur essendo stata presentata una proposta di legge di iniziativa popolare, siamo ben lungi dal contemplare nel nostro panorama giuridico una figura così necessaria; qui si parla della sessualità delle persone disabili con un pudore da Antico Medioevo, quando se ne parla. In Italia si ritiene che gli individui disabili abbiano il sesso degli angeli, vi è il forte portato della morale cattolica (la difficoltà di liberalizzare le coppie di fatto ne è dimostrazione) e anche la tradizione che concepisce il sesso come un privilegio da concedere solo a chi ha “tutte le carte in regola”.
Cito l’esperienza di un ex operatore psichiatrico: lo colpiva l’indisponibilità, da parte dei professionisti della psichiatria, a trattare il problema della sessualità nei pazienti. Invece il problema veniva posto, con una certa insistenza, dalle famiglie più sensibili.
La risposta a questa indisponibilità la diede un valente psicologo nel corso di una supervisione di equipe: “Per poter anche solo parlare della sessualità dei pazienti e delle loro necessità sessuali, si dovrebbe prima poter parlare della sessualità e delle necessità sessuali di coloro che pretendono di curare la follia. Questo è l’ostacolo.”
E’ chiaro che in una nazione sessuofoba come l’Italia, dove l’industria del porno è più fiorente che mai, dove non c’è mai stato un professor Kinsey, ma in compenso abbiamo la sede ufficiale del cattolicesimo, dove l’educazione sessuale nelle scuole non esiste (e per sicurezza si sta distruggendo la scuola, non si sa mai!), dove la pubblicità è fatta quasi tutta con donne più o meno vestite, etc… etc…, poter affrontare il tema della sessualità delle persone con un qualche tipo di disagio è molto difficile.
In uno Stato Sociale di Diritto, lo Stato dovrebbe farsi promotore di tutti i diritti dei più fragili e non nascondere la testa sotto la sabbia di fronte al bisogno di costoro, magari difendendosi dietro lo scudo della doppia/tripla/quadrupla morale cattolica. Così ,le persone disabili fisiche vanno con le prostitute, (quando possono), mentre le persone con disagio psichico, nelle strutture “protette”, sono costrette in un limbo di astinenza perpetua.
Comunque, anche i “fortunati” che possono usufruire del sesso a pagamento, devono rinunciare ad una cosa essenziale in ogni rapporto sessuale “normale”: l’affettività.
Difficilmente i professionisti del sesso riescono/possono anche solo fingere tale emozione. L’assistenza sessuale può svolgere una funzione essenziale, facendo sentire apprezzato, chi è visto con finta tolleranza o pietismo dalla società, trattando le persone disabili come persone UMANE, dotate di naturale dignità e del diritto al rispetto di tale dignità.
Vedendo questo film, ho pianto, ma i miei gemiti non erano dettati solo dalla commozione ma anche dalla rabbia, dalla collera, dovuta al fatto di veder calpestato un diritto inalienabile della persona, come la sessualità. Dolore nel vedere questa ingiustizia perpetrata ai danni di una minoranza impossibilitata a difendersi.
di Lorenzo Pradel