“UN AMORE IMMENSO”. LE MERAVIGLIE DI ALICE ROHRWACHER
“Un amore immenso”. Le meraviglie di Alice Rohrwacher.
Che sfida il cielo aperto
su questa zattera a due piazze
Daniele Mencarelli, Figlio
Ne Il paese sbagliato il maestro Mario Lodi racconta l’esperienza di un anno di insegnamento in una scuola elementare di Piadena, piccolo paese della provincia cremonese, negli anni sessanta, insegnamento portato avanti secondo i metodi dell‘educazione cooperativa, cioè il tentativo di cambiare una scuola autoritaria mettendo al centro la libertà del bambino, piccolo individuo in divenire. Tra questi una bambina, Lorena, è particolarmente brava nell’esercizio del testo libero, che poi canta. I nastri vengono registrati in classe. È una dote sua, che però viene notata e che la rende la protagonista della recita del paese, in cui interpreta canzoncine che la televisione ha nel frattempo reso famose. Il diario si conclude così amaramente con un commento del maestro: “in piedi in fondo alla sala io la rivedo quando, a sei anni, davanti alla pittura dei suoi compagni inventa il canto della luna rotonda, e via via, in momenti irripetibili di felicità creativa, (…) torno a casa con una grande tristezza dentro e mi ascolto i nastri di Lorena nel silenzio della notte. Ho l’impressione che sia stato compiuto un delitto. Penso a quanti delitti simili si compiono nella scuola organizzatrice del consenso e al sistema, o meglio della coercizione al sistema. Suo fine non è il bambino libero, non è l’uomo felice”.
C’è una scena, in Le meraviglie, in cui all’arrivo della troupe televisiva sull’isola, il padre risponde ad un tecnico audio che è venuto a chiedere di fare silenzio che le sue quattro figlie sono libere, e nessuno dice loro dove possano o non possano nuotare.
La storia è quella di una famiglia, e come tutte le storie di famiglia è intrisa di affetto, di dolore, ha pochissime parole. Siamo negli anni novanta, in un’isola della toscana dove un padre, tedesco di origine, decide di vivere e crescere le proprie quattro bambine a modo suo, vivendo di agricoltura e del proprio miele. È un uomo che ha scelto la campagna come risposta consapevole a un bisogno di libertà, in questo diverso, e non solo per le imprecazioni in tedesco e l’accento marcato, dagli altri abitanti dell’isola, che pure fanno le stesse cose ma il cui modo di viverle è differente.
C’è una scena, nel film, in cui un amico torna a far loro visita, e nei discorsi del dopocena fa pesare quanto siano cambiati, quanto abbiano abbandonato gli ideali di rivoluzione per cui avevano un tempo, probabilmente, lottato insieme. La risposta “qui vogliono farci fuori”, riferito agli standard igienici richiesti e alla difficoltà di gestire un’azienda agricola, fa riferimento in realtà a una più ampia fatica: quella di essere diversi dal mondo, di non piegarsi alle sue regole e di cercare di vivere secondo un ideale, coinvolgendo in questo quanto c’è di più stretto e caro, la propria famiglia. Eppure, se c’è una cosa sulla quale non si ha proprietà, ma solo appartenenza, è la propria famiglia.
La storia si svolge tutta in un’estate, quella in cui una troupe televisiva sceglie di girare una puntata del programma “Le meraviglie” proprio nella necropoli dell’isola. La televisione è quella commerciale, è il linguaggio del mondo che cambia e che di tutto fa parola, spettacolo, ed è infatti amara la scena in cui tutti i produttori del borgo si raccontano, ed il padre ammutolisce di fronte all’obiettivo. La televisione, che pure non è qui un mostro, è un posto diverso, che non contempla lo spazio per altre meraviglie: quella del saper fischiare o del far uscire un’ape dalla bocca. Sono talenti strani, come quello di Lorena nel comporre canzoni in base agli stati d’animo, non sono talenti spendibili. L’unico luogo in cui paiono poter vivere, avere un loro senso, è quello della famiglia. Un insieme di persone che parlano un loro linguaggio, che sta ben prima delle parole e che si sedimenta sul tempo passato insieme, il tempo enorme dell’infanzia e il modo in cui lo si vive nella quotidianità. Chiunque abbia avuto la fortuna di avere avuto un’infanzia in famiglia ricorda almeno una, di queste piccole magie che sono il modo in cui i bambini imparano a dar significato al mondo, a sé stessi.
L’enorme violenza, i modi bruschi e duri, i molti limiti che il padre inutilmente pone alle proprie figlie, per crescerle secondo il modo che lui ritiene più giusto e libero, per loro, sono il contrappeso di questo: dell’immensa fatica per difendere un mondo diverso e dell’immenso amore per la propria famiglia, smisurato e folle quanto l’acquisto di un cammello.
Ma la famiglia non può essere un castello, un luogo chiuso, e la libertà è anche questo: non c’è riparo dal mondo che va veloce, non c’è riparo dalla tv commerciale, non c’è riparo dall’adolescenza e dal crescere, che sempre sono un abbandono della famiglia, per farsi individui.
La famiglia rimane lì, con tutto il dolore e la gioia che implicano l’abbandonarla, per poterci ritornare. Quantomeno, con un bellissimo film.