RECENSIONE: LA DIETA DELL’IMPERATRICE DI UMBERTO MARIA GIARDINI
Violino (che essi?)
Piergiorgio Svaluto Moreolo
La dieta è tutt’altro che la celebrazione della propria fisicità. Non è esposizione di un corpo ben proporzionato, agile, magro quanto volontà di sparire. Far sparire la carne che è di troppo, perché su questa terra siamo di troppo.
La dieta la sorella dell’indigestione: in entrambe le esperienze il corpo, inteso come corpo nel mondo non è rispettato. D’altra parte il non rispetto può essere opportuno: La dieta dell’imperatrice vuole non rispettare la sovrabbondanza del mercato musicale, anche nella sua versione indie e onanistica.
L’imperatrice è la fonè, il rumore, il suono sospeso in sottofondo del brano di apertura, L’imperatrice appunto. Il capriccio di questa è la Discographia (brano 6); così il fu Moltheni viene a instaurare una mitologia tutta personale nella quale le parole si perdono nell’indistinto di un bisbiglio che prova a incontrare la “la carne” (Saga), nel campo di tensione della creazione che è esistente solo se percorribile, come attraversabili reciprocamente sono i corpi nell’amplesso (Genesi e mail).
Ecco, ancora i corpi: questo è un disco di corpi in contraddizione con il loro essere tali, come gli archi (molto presenti e ben arrangiati in vari brani) sono strumenti garbati pur nel loro essere percossi, quasi che violino sia ciò che è violato nello strofinio. Violenza massima che è da dal tempo, infatti proprio il brano che la descrive assume toni più aggressivi, accelerati e progressive per trovare un rifugio nelle parole al suo centro (Il sentimento del tempo).
Rifugio instabile, da oltrepassare con uscita dal corpo dal tempo: il dimagrimento, la liberazione, quando avviene quasi (infatti Quasi nirvana è solo al centro di questo lavoro ma non lo conclude). Quando avviene davvero: oltre la passione, la morte ne L’ultimo venerdì dell’umanità.
Labor che impiega nove minuti per violare l’imperatrice ripetendosi in un tema circolare: “magma scendi, bruciaci”.