RECENSIONE A LA MORTE DI GIOVANNI SUCCI E RICO
NOVEMBRE.
Di Piergiorgio Svaluto Moreolo
Scrivere per non morire è una pratica vecchia quanto il mondo, così ci disse Foucault nei suoi Scritti Letterari. Ma, per scriverla, la morte va vissuta, va esperita oltre il senso comune. Così arriva il mese di novembre: mese che mi lega con un doppio filo alla morte. E’ paradossale quindi che abbia scoperto un progetto discografico che si chiama La Morte, sigla tutt’altro che oscura dietro la quale si celano Giovanni Succi, già voce dei Bachi da Pietra e Rico, l’anima elettronica degli Uochi Tochi.
La Morte, il progetto, che defeca (vi molta presenza delle feci nei testi infatti) La Morte, il disco. Lavoro di una quarantina di minuti scarsi diviso semplicemente in lato A e lato B, nel quale si mescola l’elettronica più aerea e iperuranica con rumori di una quotidianità da borgo autunnale, tappeto sonoro sfondato per l’incedere citazionistico da attore logorato dalla parola di Succi, che sguaina padri-già-morti che parlano di morti: Tolstoj, Jacopone Da Todi, Giorgio Manganelli e David Foster Wallace. Questo lavoro ha la terribilità del dio originariamente biblico: è un disco vendicativo, privo di salvezza. Un disco di genere e forse de-genere, con tratti di inascoltabile teatralità. D’altra parte anche un disco di una certa naturalezza, solo che la natura stessa smette di essere “perpetuo circolo di produzione e distruzione”, per divenire tritacarne indistinto.
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