DI MIGRANTI, DI POMODORI, DI MAFIE E DI CORAGGIO
Portopalo di Capo Passero 23 agosto 2014 – 1500 km circa a sud di Belluno
Questa sera ho compreso il significato profondo della parola coraggio.
Portopalo come tutta la Sicilia è una realtà meravigliosa ma complessa. Il paese si snoda lungo una via principale che scende verso il mare fino a una terrazza. Luogo d’incontro e affollato dove si fondono le storie dei compaesani e dei turisti. Questa sera era stranamente semi vuota. Sul palco montato solitamente per ospitare i concerti serali c’erano sedute alcune persone con al centro il Sindaco del paese con tanto di fascia tricolore. Sotto, disposte ordinate, una cinquantina di sedie occupate da alcuni richiedenti asilo attualmente ospitati in paese, alcune autorità locali, volontari della croce rossa, dell’associazione Libera e dell’associazionismo cattolico di base. Forse qualche residente. L’atmosfera è surreale rispetto alla “norma”. E si capisce subito il perché: è una serata coraggiosa.
Dal palco si parla di mafie. Di organizzazioni criminali e dello sfruttamento delle tratte. Si riflette sulle scelte di migliaia di uomini e donne che scappano da guerre e da povertà, mettendosi in cammino. Molti muoiono ancor prima di arrivare su un barcone. Morti che non fanno notizia perché hanno “l’accortezza” di non morire sui nostri mare, di non “disturbare” le nostre coscienze. Si parla degli interessi internazionali in Africa, di sfruttamento. Si dimentica troppo spesso le responsabilità storiche e attuali del mondo occidentale sull’instabilità politica e sulla povertà di quei territori così ricchi.
Lo scrittore Carl Hoffman ci racconta la vicenda di alcuni accordi commerciali tra Italia e il Ghana sul commercio dei pomodori. Il Ghana è attualmente uno dei massimi importatori di pomodoro concentrato italiano di bassa qualità a causa degli incentivi europei che hanno abbassato il prezzo e distrutto la produzione e il mercato dei prodotti locali. Prima il Ghana era un grande produttore di pomodori, oggi i lavoratori ghanesi vengono in Italia, specialmente in Puglia per cercar lavoro nei campi… a raccogliere pomodori.
Questa è una semplice vicenda che ben descrive da dove derivano le responsabilità dei flussi migratori. E mentre ascolto questa storia mi capita di leggere dal telefonino le parole vergognose della senatrice leghista bellunese Bellot che attacca i migranti che hanno protestato alla Secca perché richiedono condizioni di vita migliori. Provo una rabbia viscerale nei confronti di una parlamentare che nulla sa delle condizioni di vita di quei migranti nonostante siano state denunciate sia dall’amministrazione comunale pontalpina che da un’inchiesta promossa proprio dalle pagine di questo sito. Che nulla sa delle vicende personali di questi fratelli scappati da chissà quale situazione. Non importa dove e come e se vengono spesi i soldi che la cooperativa che li gestisce percepisce per la loro accoglienza. Ci sono le regionali a breve e allora si fa campagna elettorale sui peggiori sentimenti. Sono migranti e quindi non devono rivendicare diritti. Possono benissimo vivere stipati in casa come su un barcone senza condizioni igieniche accettabili. Devono stare zitti, devono vivere come “fantasmi” senza disturbarci, senza turbarci. Meglio… devono tornare a casa loro a coltivare… pomodori.
Sul palco, poi, prende la parola Gaia Ferrara, una ragazza che è giunta oggi a Portopalo dopo 1200 km in bicicletta per raccontarci la storia di altri “fantasmi”. E’ partita in solitaria il 2 agosto dalla Puglia, passando per la Basilicata e la Calabria. Lo scopo? Chiedere il recupero del relitto F-174, affondato a Natale del 1996 con circa 300 migranti a bordo. I corpi si trovano, tutt’oggi, ancora in fondo al mare, senza nome, al largo della costa portopalese in acque internazionali.
La vicenda di questa “nave fantasma” ha dell’incredibile. In quei giorni del ’96 strani racconti si susseguivano in porto. Nelle reti rimanevano impigliati vestiti e in paese si cominciava a mormorare di strani “Tonni” pescati. Solo nel 2001 la verità venne a galla. Grazie al coraggio di Salvo Lupo. La sua rete da pesca andò a sbattere contro il relitto e quando fu issata semidistrutta a bordo venne trovato un paio di jeans e un tesserino identificativo riportante il nome di Ampalagan Ganeshu. Salvo raccontò quanto accaduto alle autorità ma non trovò appoggio in paese, anzi e allora si rivolse alla stampa. Fu grazie all’incontro con il giornalista Gian Maria Bellu che oggi conosciamo questa vicenda. Il giornalista, infatti, andò fino in fondo e trovò il modo di finanziare le ricerche del relitto. Lo trovò e le immagini fecero il giro del mondo.
Salvo, però, ha pagato quella scelta di coraggio, di non aver taciuto (vedi la storia completa). Ha dovuto cambiare lavoro e ha aperto il bed&breakfast… la “nave fantasma”.
Storie di coraggio appunto, come quelle dei migranti che continuano a morire in mare. Storie che ci ricordano quanto misere sono le strumentalizzazioni politiche di qualche sciacallo padano.
Ma come ci ricordava questa sera una lettera del giornalista Bellu, non siamo buonisti, siamo cattivi.
Cattivi contro le ingiustizie.
Restiamo Umani
di Ics per Bellunopiù