CHI NON SEMINA NON RACCOGLIE. CANAPA, GRANI, E UNA MIETITREBBIA, PER UNA NUOVA AGRICOLTURA
È un po’ di tempo che attorno a Casa Dei Beni Comuni si riuniscono esperienze che, a vario titolo, si occupano di agricoltura. Da quando il luogo ha cominciato a prendere forma, è stato spesso attraversato dalle persone e dalle esperienze che, negli anni, hanno reso il bellunese un laboratorio di pratiche di agricoltura realmente sostenibile.
Si è cominciato con lo scambio dei semi allo Sputnik, nel 2014, vi sono state giornate di spiegazione della permacoltura e della creazione di un orto sinergico, numerosi pranzi realizzati con la collaborazione dei piccoli produttori locali, un piccolo orto nostro, negli spazi dell’ex caserma Piave.
Grazie ai saperi di chi in questo ambito lavora da anni, abbiamo anche potuto constatare quanto il territorio montano sia ancora in buona parte preservato, rispetto alle storture dei territori vicini. Con la consapevolezza dei rischi e degli attacchi in corso, il percorso ha preso la forma di una campagna, Liberi dai Veleni, che ha coinvolto migliaia di cittadini nella sottoscrizione di un regolamento che tuteli il territorio dai trattamenti chimici, proponendo che quest’area diventi un’alternativa concreta, dedicata al biologico (leggi qui l’articolo).
Da ultimo, era il 10 aprile quando organizzammo la giornata “Canevo Bene Comune”, in cui si divisero sacchi di semi di canapa certificata dall’Unione Europea. Occuparsi di canapa era stato il naturale proseguo.
Tale divisione del sacco, permessa solo in aree montane grazie agli sforzi di Manuela Pierobon, che con tenacia ha ottenuto questa agevolazione, è fondamentale per i piccoli agricoltori, che non potrebbero mai acquistare sacchi interi per i loro piccoli appezzamenti di terra.
A fine giornata erano stati distribuiti circa 150 kg di semenza, ad una trentina di coltivatori presenti, più numerosi interessati. In quei giorni a Longarone terminava Agrimont, dove il tema della canapa fu quasi dominante, mentre a Bribano si inaugurava il negozio Canapalpino, segno tangibile del rinnovato interesse nei confronti della canapa.
È un interesse che non stupisce, tanto più in questa zona: l’Italia fino agli anni ’50 era seconda esportatrice al mondo di questa materia prima. Le persone che han memoria di quegli anni hanno ricordi vivi di questa coltura nei nostri campi. In molte delle soffitte probabilmente sono ancora presenti tessuti o strumenti utili alla lavorazione della fibra che da essa si ricavava.
Oggi sappiamo ancor di più sulle proprietà di questa pianta: non solo sulla fibra, ma sulle sue virtù alimentari, cosmetiche, edili. Non è facile trovare qualcosa che non si possa fare con la canapa. Eppure, questa coltivazione scomparve, per ragioni non legate al territorio.
Tentare di recuperarne la filiera, questo è il progetto, non è facile. Settant’anni di assenza dai nostri terreni comportano numerose problematiche, soprattutto nell’epoca dell’agricoltura industriale e dell’iper-tecnologia. Ancora, trovare macchinari e saperi che agevolino il lavoro dei canapicoltori è costoso e difficile.
Ancor più difficile uscire dal fallimentare esperimento dell’agro-industria, dall’idea che il terreno sia un inerte che va soprattutto sfruttato, fino a consumazione.
La giornata del 10 aprile fu la fine di un percorso di consapevolezza, e l’inizio di un esperimento di pratica. Sbrigammo tutte le pratiche burocratiche per permettere la semina agli agricoltori, non solo acquistando i semi, ma anche raccogliendo i dati da inviare alle forze dell’ordine come la procedura per seminare richiede.
Lungi dalla confusione che intorno a questa pianta aleggia, canapa per noi significa provare a liberarci dai veleni, offrire un’alternativa in cui non servano pesticidi, fertilizzanti, irrigazioni. Le sue caratteristiche, come la radice a fittone, la rendono una ottima coltura da rotazione, strumento fondamentale per un’agricoltura sostenibile e rispettosa, che ben si coniuga con il recupero di altre antiche varietà, come quelle cerealicole.
Valorizzare una pianta resiliente, su cui in molti oggi stanno facendo ricerca e sperimentazione, è per noi strumento principale per reintrodurre la rotazione agricola, principio di mutualismo tra le piante che è condizione necessaria ad ogni agricoltura voglia dirsi sostenibile.
Ancora, quel 10 aprile fu l’inizio di un percorso di condivisione, di una pratica dell’idea di comunità. Che fare le cose da soli sia molto più difficile e duro che farle insieme è quanto capito in anni di assemblee e attività alla Casa Dei Beni Comuni. Sappiamo quanto sia ancora più vero se si parla di lavoro. Viviamo quotidianamente nel precariato e nell’individualizzazione feroce.
Molti di noi, quando iniziammo questo percorso intorno al tema dell’ipersfruttamento del territorio, non avevano alcuna formazione intorno all’agricoltura.
La conoscenza delle peculiarità del territorio ne ha evidenziato i limiti, e le difficoltà che i molti che di questo si occupano da anni, da anni affrontano. Unica soluzione per superarli? La condivisione! Di idee, saperi e mezzi.
Si è molto discusso delle problematiche, il gruppo è cresciuto man mano, fino all’azzardo di proporre un acquisto comune: un bene materiale che potesse facilitare il lavoro di chi crede in un’agricoltura che guardi ai beni comuni e non solo al profitto, uno strumento compatibile con le pratiche di chi fa agricoltura biologica e crede pertanto che il suo scopo primo sia quello di non impoverire la terra, ma preservarne la fertilità.
Dopo lunga attesa, è arrivata a metà Luglio una piccola mietitrebbia parcellare, un bene acquistato e voluto da tanti, condiviso nella spesa e che sarà condiviso nell’uso.
Appena arrivata, da ferma, la macchina già trebbiava alla perfezione.
Alla prima giornata di messa in funzione sul campo di cereali, sebbene le difficoltà e le variabili aumentino alla prova dei fatti e di una prima esperienza, ha svolto bene il proprio lavoro, agevolando notevolmente la raccolta.
In epoca di social, anche chi non c’era ne ha seguito le mosse tramite le foto inviate, comunicazione alla comunità perché questo è un passaggio importante, vissuto con entusiasmo anche da chi il campo non ce l’ha. Nei successivi giorni il lavoro è poi migliorato, di pari passo alla conoscenza del mezzo e delle sue possibilità.
È solo il primo tassello di un modo di vedere questo mondo: mettere in comune le cose (materiali ed immateriali) necessarie a portare avanti una nuova agricoltura nel bellunese, per creare rete e non lasciare da solo chi ci prova.
Oggi, anche la canapa seminata in primavera sta crescendo: la maggioranza di quei 150 kg di seme sta andando in fiore, il vento trasporta il polline dalle piante maschili a quelle femminili e i primi semi sembrano iniziare a formarsi sotto le infiorescenze. Ad inizio autunno, la sua utilità per i campi di canapa verrà sperimentata, quando i semi saranno maturi per essere raccolti.
Siamo convinti che in questo momento storico, caratterizzato da crisi, pessimismo e sfiducia, un cammino partito dal basso, il cui seme è l’intreccio di competenze e conoscenze e il frutto un progetto di tutti e rivolto a tutti, possa essere la giusta risposta.
L’impegno nel promuovere un’agricoltura più sana e rispettosa, vissuta in forma mutuale e sociale, ci sembra fondamentale e allo stesso tempo, la nostra migliore alternativa. L’invito, a tutti, è a farne parte.
Pertanto, l’appuntamento per vedere la mietitrebbia in funzione, poter trebbiare il cereale raccolto anche altrove e conoscere in prima persona il progetto è la Giornata di trebbiatura, che avrà luogo Domenica 4 settembre presso la Casa Dei Beni Comuni.
Si tratterà di una giornata di lavoro condiviso, che comincerà la mattina alle ore 10 con la trebbiatura del cereale (per chi volesse portarne, è necessario avvisare; il contatto a cui fare riferimento per l’organizzazione è 3290125217, Lollo). Durante il pomeriggio, poi, vi sarà una mostra delle varietà di cereale finora raccolte e una tavola rotonda, a cui ciascuno potrà contribuire, sulla situazione e le prospettive di questa agricoltura sul territorio.
Per raccogliere i frutti di un’estate, non solo quelli materiali.
Leggi anche le considerazioni nate alla base del progetto.
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