A BELLUNO, CAMBIARE SI PUÒ?
La scorsa settimana si è tenuta la prima assemblea pubblica di “Cambiare si può” a Belluno sull’onda della discesa in campo o salita in politica come dir si voglia di Ingroia. In realtà l’esperienza di “Cambiare si può” è cominciata ben prima, sulla spinta di diversi cittadini e cittadine provenienti da ambiti culturali e politici diversi che si erano aggregate, in vista delle elezioni, attorno ad un progetto politico nuovo che puntava a costruire un programma politico di rinnovamento all’interno dello scenario partitico attuale. Come tutti ben sappiamo, la svolta degli ultimi giorni, con la conseguente nascita di Rivoluzione Civile e l’ingresso di Rifondazione, Verdi, Comunisti Italiani e Italia dei Valori, ha fortemente compromesso lo spirito di partenza del percorso e molti firmatari dell’appello di “Cambiare si può” hanno deciso di abbandonare polemicamente il progetto.
Noi, invece, eravamo critici sull’utilità del percorso già dalle sue origini, nel senso che non capivamo quale efficacia potesse avere la costruzione di un progetto politico rappresentativo nazionale (ma minoritario) in una fase in cui non c’è ancora un movimento generalizzato in grado di esprimere un’alternativa e di incidere con forza nelle dinamiche sociali e politiche di questo paese. Per quanto ci riguarda, questa dovrebbe essere la priorità su cui convogliare gli sforzi, sia sul piano locale che su quello nazionale.
La recente svolta poi, ha definitivamente fugato ogni nostro dubbio. All’oggi è evidente, che Rivoluzione Civile si presenta quasi esclusivamente come un “cartello elettorale di salvataggio” per i partiti che vi hanno aderito. Il fatto poi, che non ci sia stata da parte dei quattro segretari la volontà di fare un passo indietro per quanto riguarda le loro candidature, è l’ennesimo segnale di quanto poco questi partiti siano disposti a cedere dal punto di vista della loro “sovranità” all’interno di Rivoluzione Civile, nonostante rappresentino quattro esperienze politiche esauste.
Eppure, nonostante questo nostro punto di vista, abbiamo comunque voluto partecipare all’assemblea bellunese della settimana scorsa, soprattutto per capire se sul piano locale le premesse fossero diverse, anche perché conosciamo bene molte delle persone che avevano convocato l’assemblea e con cui da anni condividiamo battaglie nel territorio.
Inoltre, pensavamo e pensiamo che in una provincia come la nostra, ogni sforzo messo in campo per tentare di “ricomporre” tutte quelle esperienze collettive e non che agiscono nel territorio in maniera ancora troppo spesso slegata tra loro, sia comunque positivo e meriti sempre una giusta attenzione da parte di tutti, anche se critica.
E infatti, le critiche non sono mancate, anche per volontà degli stessi organizzatori, che hanno giustamente impostato la serata nella maniera più corretta, aprendo un dibattito che voleva essere di vero confronto come poi è stato.
Molto di quello che abbiamo scritto sopra è emerso e molto è stato detto anche in difesa del percorso. Non ci interessa esprimere qui un giudizio rispetto alle “conclusioni” dell’assemblea, perché era ed è evidente che i promotori andranno avanti con il percorso come è giusto che sia, ma quello che ci interessa sottolineare sono alcune questioni che nel dibattito sono emerse e che noi pensiamo siano importanti.
Per prima cosa la questione del lavoro e del welfare. Un tema questo assai importante, sul quale da trent’anni a questa parte a causa di violente politiche neoliberiste, abbiamo subito un pesante attacco senza essere mai stati in grado di reagire significativamente. Noi crediamo che la causa principale sia dovuta soprattutto al fatto che, “a sinistra”, manchi una piattaforma rivendicativa che sia all’altezza delle trasformazioni sociali e produttive che stiamo attraversando. La battaglia della Fiom, per quanto importante e doverosa (e che va continuamente sostenuta) all’interno delle fabbriche in difesa della democrazia nei posti di lavoro e del salario, non è più sufficiente. In un contesto in cui lo sfruttamento capitalista si estende, in maniera sempre più parassitaria, in un continuo processo di espropriazione della comune ricchezza sociale prodotta, “il campo di battaglia”, evidentemente, si allarga all’intera sfera del bios, perché è proprio la nostra vita per intero ad essere messa in produzione.
Quella stessa vita sempre più precaria. Una condizione questa, sempre più generalizzata che trascende erronee divisioni tra garantiti e non, come ci dimostra il caso nostrano dell’Invensys.
Anche dal punto di vista della comprensione di quelle che sono le nuove figure produttive, bisogna fare un “salto di qualità”. Parlare oggi di nuove forme contrattuali atipiche non ha più senso, se non paradossalmente, quando si parla di contratto a tempo indeterminato. Contratti a progetto, a chiamata, a tempo determinato, stage ecc. sono oramai la norma, assieme all’aumento delle piccole partite iva , in cui il lavoratore continua ad essere in realtà un subordinato mal pagato, sul quale però, le aziende scaricano anche gli oneri contributivi e previdenziali. Insomma cornuto e mazziato.
Sempre sulla questione relativa al lavoro, durante il dibattito si è parlato molto anche della necessità sempre più condivisa di superare la contraddizione tra lavoro e ambiente: il caso Ilva è fortemente significativo in questo senso. Entrare nel merito non solo di quanto si produce, ma di cosa e come lo si fa è diventata una priorità, non solo in termini di salvaguardia dell’ecosistema, ma anche dal punto di vista occupazionale, visto che i settori per così dire “verdi” sono quelli che tengono di più dentro questa crisi.
Lo sforzo quindi, anche sul piano territoriale è capire come le battaglie su questi due fronti inizino a interagire più significativamente. E’ questo per noi un punto fondamentale perché ci pone di fronte ad un interrogativo importante ovvero come è possibile riuscirci? Quale soggettività politica è in grado di farlo?
Anche su questo punto, la discussione della scorsa settimana ci viene in aiuto.
Durante il dibattito, infatti, è stato più volte citato il Comitato Acqua Bene Comune di Belluno come esperienza significativa in Provincia.
Per chi come noi ne fa parte, fa piacere vedere che il lavoro che è stato fatto viene per così dire “riconosciuto”, ma al di là dei compiacimenti, dovremmo approfondire e analizzare perché il Comitato ABC sia riuscito a costruire un percorso così importante.
Noi pensiamo che la sua forza stia nell’autonomia decisionale e organizzativa, nella quale convivono esperienze e persone di ambiti diversi che rifiutano dinamiche partitiche e rappresentative al suo interno. L’assemblea è un ambito di condivisione dove i vari gruppi si sciolgono al suo interno e dove la discussione, a volte estenuante, ricerca sempre una sintesi unanime. Un processo per niente semplice e scontato che a volte entra in crisi, soprattutto quando vengono introdotti meccanismi attraverso i quali si tenta di far “pesare” la propria appartenenza. Il rischio che questi processi di democrazia dal basso si trasformino in piccoli parlamentini rappresentativi è sempre dietro l’angolo, ma in questo il comitato è sempre riuscito ad anteporre “l’interesse generale” a quello “particolare”, ragionando sempre in termini di efficacia, ovvero cercando di capire quale fosse il modo migliore per raggiungere un obiettivo, superando pregiudiziali di metodo.
In questo modo, di volta in volta, si sono attivate pratiche diverse, dalle raccolte firme, alle serate informative, fino alle contestazioni più conflittuali o pratiche collettive di disobbedienza civile.
Consci dei limiti del comitato (prima fra tutti la sua “specificità tematica”) e anche del fatto che non esistono modelli riproducibili in toto e che vanno bene per “ogni occasione”, pensiamo però, che quel suo modus operandi sia un punto di partenza imprescindibile per pensare a un soggetto territoriale unitario, organizzato, di movimento e perché no, anche aperto a dinamiche elettorali locali, se collettivamente viene ritenuto utile, con la consapevolezza che non ci sono “uomini soli al comando”, ma semmai persone che si fanno portatrici di rivendicazioni collettive e quindi di battaglie vere anche in ambiti istituzionali.
Quando avevamo lanciato la proposta di Uniti per i Beni Comuni, assieme a tanti e tante tra cui anche molti di coloro che fanno parte di Rivoluzione Civile di Belluno, pensavamo proprio a quanto detto prima. Purtroppo non siamo riusciti a dare la giusta forza a quella proposta e in questo abbiamo sbagliato. Sicuramente poi, il 15 ottobre romano non ci ha aiutato, assieme al fatto che le successive scadenze locali ci hanno fatto ritornare un po’ tutti ad occuparci esclusivamente dei propri ambiti.
Ora, probabilmente è tempo di decidere cosa vogliamo “fare da grandi”. Crediamo che conclusa questa delirante parentesi elettorale sia tempo di aprire una discussione sul nostro territorio per cercare di costruire un percorso unitario, uno spazio comune in cui riconoscersi e attraverso il quale dare la giusta forza all’idea di un’Altra Provincia. Consapevoli del fatto che quest’esigenza è condivisa da molte e molti nei nostri territori vi proponiamo di provarci tutti insieme, discutiamone….
Apriamo il dibattito.
La piattaforma di Belluno Più è a disposizione.
Redazione BL+
Articoli di approfondimento:
Cambiare si può (?) di Bartolo Mancuso
La sinistra italiana e il nuovo “populismo penale” di Francesco Brancaccio e Guido Farinelli
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Credo che il vostro intervento sia importante e positivo per un elemento decisivo:
come è stato correttamente riportato l’assemblea di venerdi 6 ha segnato un punto di accordo che mi pare non secondario e che forse va esplicitato maggiormente.
Al di là dell’appuntamento elettorale, della costituzione della lista Rivoluzione Civile (sul giudizio della quale che voi date non concordo, ma non mi pare questo il punto), in assonanza con quanto detto dai partecipanti anche la Redazione di Belluno + ritiene utile ragionare su come costruire un luogo di organizzazione, relazione e analisi comune tra diverse esperienze di lotta e di resistenza oggi presente nella Provincia di Belluno.
Credo francamente però che ciò non sia sufficiente, o meglio sia necessario esplicitare dei tratti comuni politico programmatici che siano in grado di prefigurare un’arena.
Per questo, tutti gli interventi che ci sono stati nell’assemblea di Santa Giustina (ancorchè in parte dissenzienti sul percorso che ha portato alla lista di Rivoluzione Civile), hanno proposto di proporre una nuova assemblea che parta dai 10 punti che erano alla base di “Cambiare si può” condividendone i contenuti.
Tale assemblea non deve chiedere di schierarsi a favore o contro la lista di Rivoluzione Civile, ma verificare se, sulla base, dei contenuti proposti si possa iniziare il percorso per la costituzione di una rete organizzata di individui, organizzati o meno, che costruiscano assieme luoghi di dibattito e occasioni di iniziativa che parta dalla critica del sistema liberista che oggi ammanta la quasi totalità delle forze politiche in campo.
In quella sede si è pertanto proposto di fare in tempi brevi, io personalmente preferirei che non si volesse aspettare la conclusione, delle lezioni politiche, un appuntamento pubblico.
Su questo mi rendo disponibile a lavorare, se vi è l’accordo su questo sarebbe utile buttare giù un appello pubblico, che trovi possibilmente uno spettro più ampio di quello che ha indetto e partecipato all’assemblea di Santa Giustina.
Credo altresì che sarebbe utile anche cercare di coniugare i contenuti proposti da “cambiare si può” in termini locali: io, sommessamente, propongo due temi:
la questione della democrazia in un territorio, come il nostro. dove marginalità, abbandono della montagna, difesa dei beni comuni, necessita di andare altre alla propgressiva privatizzazione dei centri di gestione e governo (penso a BIM, la stessa riforma della Provincia in ente di secondo grado) di fatto espropria i cittadini di qualsiasi elemento di indirizzo, controllo e decisione, con l’individuazione di nuovi modi e partecipazione dal basso;
la questione del modello di sviluppo e la crisi del modello industriale nato dopo il Vajont.
Insomma, proviamoci, separando, come si è detto a Santa Giustina, l’appuntamento elettorale (anche se io credo, al contrario di voi, che la lista Rivoluzione Civile possa essere un aiuto in questo senso), dalla costruzione di questa rete o polo organizzato, con un processo inclusivo ma che abbia dei presupposti politici e programmatici chiari e non nebulosi.
Ciao Gino