LAVORO SI’, LAVORO NO, LAVORO GRATIS?
La vedo dura, molto dura che con soluzioni “fai da te” del tipo “lavoro gratis” proposte dalla J&W di Sedico si possa uscire dalla crisi. Questo tipo di proposte che prevedono l’intensificazione dell’orario di lavoro non retribuito non sono, tuttavia e purtroppo, una novità e trovano origine ben prima della la crisi. La crisi è l’opportunità che hanno, semmai, per tentare di legittimarle.
Infatti, da decenni, il numero complessivo di ore lavorate è in aumento, mentre paradossalmente e contemporaneamente, la disoccupazione è in crescita. Ciò significa che l’orario di lavoro degli occupati si sta allungando, ma senza che questo determini un aumento dei salari, anzi. Infatti, a causa di una massa di lavoratori sempre in constante ricerca di un’occupazione a qualsiasi condizione soprattutto in questi periodi di crisi, si è determinata una contrazione dei salari e una diminuzione delle garanzie contrattuali. Ecco, allora, che l’iper-lavoro è, allo stesso tempo, effetto e con-causa dell’abbassamento dei salari, in quanto in una fase dove le retribuzioni sono stagnanti o in diminuzione, per guadagnare di più si è costretti a lavorare di più. Nei casi come la J&W la situazione è ancora più drammatica perché il ricatto è ancora più forte: devi lavorare di più e gratuitamente se vuoi mantenere il tuo posto di lavoro.
Insomma, si cerca di curare la malattia con somministrazioni di dosi ancora più grandi della stessa malattia. Il problema, semmai, è aumentare il potere d’acquisto dei salari e ridistribuire reddito se si vuole aumentare la capacità complessiva di spesa. Pensare che i salari possano aumentare il proprio potere d’acquisto attraverso un aumento del lavoro sempre meno pagato non risolve affatto il problema, anzi, alimenta un circolo vizioso dove iper-lavoro e disoccupazione sono fenomeni che s’intensificano proprio perché correlati l’uno con l’altro.
Certo, il caso della J&W fa scalpore perché si tratta di lavoratori che rientrano nel Contratto Collettivo Nazionale e non i “soliti” lavoratori parasubordinati senza malattia o straordinari pagati. “Benvenuti” nel mondo dei non garantiti verrebbe da dire, se non fosse che dopo trent’anni di politiche neo-liberiste qualsiasi tipo di distinzione tra garantiti e non è sempre più inutile. Precarietà significa soprattutto ricatto e oramai anche i lavoratori a tempo indeterminato non sono più indenni da questa logica.
Mal comune mezzo gaudio? Niente affatto, semmai merda per tanti. Ma per capovolgere i rapporti di forza, dopo anni di inesorabili sconfitte sindacali, dobbiamo cominciare a fare un salto culturale significativo che sappia andare oltre il semplice diritto al lavoro che è sempre meno pagato e garantito. Dobbiamo iniziare a rivendicare il diritto di scelta del lavoro come possibilità di rifiuto e fuoriuscita da queste logiche di ricatto. Uno strumento rivendicativo all’altezza di questa nuova prospettiva è il Reddito di Base Incondizionato (per un veloce approfondimento del tema si veda “Faq sul reddito di base: risponde San Precario” e per la sua sostenibilità finanziaria si veda “Come si finanzia il reddito di base incondizionato?”) e che deve essere affiancato da una riforma che introduca in Italia il salario minimo, ovvero una legge che stabilisca che un’ora di lavoro non può essere pagata meno di una certa cifra, a prescindere dal lavoro effettuato.
Solo attraverso questo tipo di proposte sarà possibile ricomporre una forza lavoro sempre più politicamente disgregata e superare le contrapposizioni tra lavoratori tipici e atipici. Inoltre, si tratta di soluzioni strutturali che garantirebbero un reddito stabile e un aumento della domanda di consumo, andando oltre alle logiche opportunistiche “fai da te” stile J&W che poi si traducono sempre esclusivamente in sacrifici per i lavoratori, senza che mai, quando le vacche sono grasse e le casse piene corrispondano a periodi di ridistribuzione degli utili con i dipendenti, salvo qualche misero premio produzione come incentivo a lavorare di più. In tal senso, rimango attonito quando leggo sui giornali della soddisfazione dei lavoratori della Sest dopo i ringraziamenti a piena pagina dei proprietari dell’azienda nei loro confronti: io preferirei dei soldi, molto più utili per pagare l’affitto di casa!
Infine, non mi stupisce l’appoggio da parte del Presidente degli industriali bellunesi Cappellaro all’iniziativa della J&W. La stessa associazione che sta puntando tutto sull’importante settore dell’idroelettrico. Un mercato strategico come dimostra il prossimo fallimento della Serman Energy di Pieve d’Alpago! Un settore che non è in grado di stare in piedi nonostante il doping degli incentivi verdi. Forse perché “la turbina” è una tecnologia che potremmo definire novecentesca? Mentre ci sono aziende che producono dissuasori di velocità, pavimenti per discoteche, cyclette per palestre (per fare alcuni esempi) che trasformano l’energia cinetica in energia elettrica. Soluzioni innovative che vanno verso una decentralizzazione della produzione energetica e aprono nuovi settori di mercato.
Probabilmente i vari Cappellaro preferiscono fare soldi facili con la rendita garantita dallo sfruttamento privatistico dei fiumi, ma la strada per fuoriuscire dalla crisi è da un’altra parte: dove c’è innovazione e politiche di redistribuzione del reddito complessivo.
Morte alla rendita e ai sacrifici!
di Ics per BL+
ARTICOLO CORRELATO: “Lavorare male comune” di Andrea Fumagalli
Proprio vero. Una delle uscite della mia dirigente davanti ai genitori: “purtroppo le risorse diminuiscono di anno in anno, bisognerà fare di più con meno.” Il che significa che i suoi dipendenti dovranno fare di più con meno. Nessuno ha chiesto il nostro parere.