BASTA STRUMENTALIZZAZIONI SULL’EX CASERMA PIAVE
In questi giorni, troppo si è scritto, detto, visto e sentito sul progetto dell’ex Caserma Piave. Troppo, perché gran parte delle cose dette sono sbagliate ed è ora di fare chiarezza.
Punto primo: dalle origini.
L’idea di trasformare l’ex Caserma Piave da luogo abbandonato, vero proprio buco nero della città, in un’area dedicata al terzo settore e al mondo del no profit nasce nel 2012 all’interno del nostro laboratorio cittadino “Casa dei Beni Comuni”. Presentammo per la prima volta l’idea nell’ottobre di quello stesso anno al neo eletto Sindaco Massaro. Eravamo da poco stati a Lubiana, a Metelkova, un ‘ex area militare ora autogestita da collettivi e diventata un vero polo di sperimentazione artistica e culturale conosciuta in tutta Europa tanto da diventare uno dei punti turistici della città. Al Sindaco dicemmo che era ora di provare a pensare in grande, di uscire dalla mentalità provinciale che troppo spesso appesantisce questo territorio. Allora Massaro, probabilmente, ci prese per dei matti. Grazie anche alla nostra determinazione e alle centinaia di persone che hanno partecipato alle serate pubbliche di presentazione del progetto, Massaro e la sua giunta hanno iniziato a credere nel progetto e anche alla nostra sana follia.
Punto secondo: i primi passi
Abbiamo sempre pensato che quando si prova a conquistare un diritto lo si deve fare per tutti. Per questo, anche nel progetto dell’ex Caserma Piave, l’idea era di creare un’area aperta alle varie esperienze associative della città. Un’area non solo per noi, quindi! Il primo step è stato quello di capire con gli uffici tecnici e l’amministrazione quali strumenti e forme giuridiche utilizzare per regolamentare il progetto. L’amministrazione e gli uffici tecnici si sono messi al lavoro (e che lavoro!) e hanno prodotto delle convenzioni uniche in Italia. Non ci sono esempi simili in tutto il paese.
Le convenzioni prevedono che i soggetti assegnatari degli immobili abbandonati abbiano il diritto/dovere di auto-recuperare gli stabili a proprie spese, ovvero a costo Z-E-R-O per il comune. In base agli investimenti fatti sugli stabili viene calcolato, da parte del comune, il numero di anni di convenzione per l’uso degli stessi. La cosa importante e innovativa è che viene conteggiato anche il lavoro volantario dato che gran parte dei soggetti assegnatari sono associazioni di volontariato.
Punto terzo: cosa significa tutto questo?
Semplice, che grazie all’autorecupero degli stabili portato avanti dalle associazioni/cooperative assegnatarie, quell’area abbandonata e che presto sarebbe diventata un’enorme spesa per il Comune di Belluno visto il livello di deperimento degli stabili, sta diventando, per la prima volta, uno spazio aperto alla cittadinanza attiva e una valorizzazione del patrimonio pubblico cittadino. Una sperimentazione importante, così importante che veniamo invitati a raccontare questa esperienza in convegni e incontri pubblici in tutta Italia, così importante che ci sono Università che stanno studiando questo progetto e laureandi che ci contattano per scrivere delle Tesi. Così importante che è riuscita a vincere dei bandi e a portare a Belluno denaro pubblico da investire in città. Certo lavoro ce n’è ancora molto, anzi moltissimo da fare e ci vorranno ancora anni perché il progetto sviluppi tutte le sue potenzialità, ma siamo convinti che ne valga la pena, per noi e per la città.
Punto quarto: oltre la Casa dei Beni Comuni
Siamo contenti che a 5 anni dall’inizio di quest’idea folle, questo progetto sia condiviso anche da altre realtà che operano nel mondo dell’attività sportiva, dello scoutismo, del teatro, della protezione civile, dell’arte tra le quali: Tib Teatro, Associazione Slowmachine, Radioclub Belluno N.O.R.E., Gruppo Radioamatori Val Belluna, Gruppo Scout Agesci – Belluno, Cooperativa Scout S.Giorgio, Associazione Smers, Gruppo 90 Polpet, Associazione Scherma Dolomiti A.S.D.
Da poco è nato anche un coordinamento tra i soggetti assegnatari degli stabili e che sta muovendo i suoi primi passi con l’obbiettivo di co-gestire le aree comuni dell’ex Caserma Piave e di valorizzare la cooperazione sociale che quel luogo sta e potrà creare in collaborazione con l’amministrazione comunale.
Una cooperazione che, per noi, deve avere lo scopo di combattere la disgregazione sociale, l’individualismo, la solitudine, la crisi, prima di tutto antropologica che leggiamo nei social network, il sessimo, il fascismo in ogni sua declinazione, per costruire comunità, autodeterminazione, mutualismo, per abbattere i muri e creare ponti per noi e i nostri fratelli migranti.
Casa dei Beni Comuni Belluno