40 ANNI DI 194, 40 ANNI DI LIBERTÁ
Oggi torniamo a parlare di aborto.
Non siamo state le prime: sabato in piazza a Belluno sono comparse alcune carrozzine vuote, usate come simbolo del fatto che sarebbe l’interruzione così libera di gravidanza una delle cause dello spopolamento, e della morte di questo territorio.
L’aborto è un diritto, lo sancisce una legge che ha 40 anni. Stabilisce la libertà di ogni donna di decidere del proprio futuro, sancisce che la maternità è una scelta, non può mai essere imposta. E se dei passeggini vuoti pretendono di essere un innocuo monito sul rischio della denatalità, rappresentano in realtà un gesto violento.
È violenza giudicare, peggio ancora, tentare di impedire, una libera scelta (a volte sofferta, a volte no) che per legge è un diritto.
Sono passati 40 anni dall’approvazione della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, la legge 194. Era il 22 maggio del 1978. Essa rappresentava l’esito istituzionale di un percorso di protesta, di indignazione e di liberazione.
Centinaia di donne avevano manifestato al coro “Abbiamo abortito tutte”, al processo contro Gigliola Pierobon, minorenne, colpevole di aborto clandestino, rea confessa. Era a Padova, nel 1973. Decine erano le donne che ogni anno morivano di aborto clandestino.
Nata dal basso, la legge era il frutto di un percorso collettivo. I movimenti delle donne, dando la parola alle molte che avevano sofferto in solitudine, affermavano: scegliere la maternità è un diritto, l’aborto è un diritto, vogliamo scegliere per noi stesse.
Il percorso legislativo fu duro, attraversato da compromessi: venne inserito l’articolo 9, la possibilità per il personale medico dell’obiezione di coscienza.
L’obiezione di coscienza, oggi, raggiunge una media nazionale del 70% con interi reparti, soprattutto al sud Italia, in cui la totalità dei medici è obiettore. Di fatto, l’accesso all’aborto diventa complesso e dispendioso, specie in una situazione di precarietà economica, un pellegrinaggio in cerca del medico non obiettore.
Altre possibilità esisterebbero. L’aborto farmacologico, tramite la RU486, utilizzata e prescritta fuori dagli ospedali nel resto d’Europa è, in Italia, un’opzione accessibile in poche strutture. Esiste poi l’obiezione di coscienza tra farmacisti, che si dichiarano obiettori, rifiutandosi di fornire la pillola del giorno dopo, farmaco contraccettivo e non abortivo.
Oggi, di aborto si parla poco (e male). La società italiana è attraversata da moralismi, vi è scarsa educazione in ambito di sessualità ed affettività, si diffonde una cultura dello stupro, sempre più violenta. Continua, costante, la conta dei femminicidi. I due ambiti non sono disgiunti.
Ciò che in quel clima pareva scontato, vale la pena ribadirlo: la sessualità non è finalizzata alla procreazione, avere figli deve essere una scelta delle donne, libera e consapevole. La miglior alternativa all’aborto è la contraccezione garantita, libera e gratuita.
Noi festeggiamo questi quarant’anni, ma chiediamo di più.
Vogliamo l’abolizione dell’obiezione di coscienza, che spesso impedisce la pratica concreta negli ospedali.
Vogliamo l’accesso gratuito all’assistenza sanitaria per l’Ivg, la gravidanza e il parto indipendentemente dalla cittadinanza e dai documenti.
Vogliamo che i consultori siano presidi territoriali di salute affettiva e sessuale, luoghi inclusivi e realmente fruibili, conosciuti e frequentati.
Vogliamo la contraccezione gratuita.
Vogliamo l’educazione sessuale nelle scuole, ed una cultura diversa, in ambito di affettività e sessualità.
L’aborto è un diritto. Difendiamolo.
Le Suffrangette